NOME: GAELLE THALMANN
SOPRANNOME: WONDER WOMAN
HOBBY: RESPINGERE LE CANNONATE E VOLARE IN CIELO
Nel 1934
nasceva la National Allie Publications, casa editrice di fumetti che più
tardi prenderà il nome con cui oggi è da tutti conosciuta: la DC.
Dall’idea dei redattori e dalla penna dei disegnatori di allora nacquero
i personaggi dei supereroi amati da tante generazioni, come Superman,
Batman e Wonder Woman. Quest’ultima fu resa ancor più celebre dalla
fortunata serie televisiva degli anni settanta/ottanta, con protagonista
la bellissima Lynda Carter. Recentissima la rivisitazione
cinematografica dove la principessa amazzone è incarnata dall’attrice
israeliana Gal Gadot. Diana è una donna dai super poteri, con doti
atletiche inimmaginabili e di una forza incredibile, ereditata dalla sua
discendenza diretta con Zeus. Non avrà forse origini divine, ma anche a
Mozzanica c’è una ragazza in grado di compiere voli spettacolari e
respingere le cannonate avversarie, che risponde al nome di Gaelle
Thalmann, portiere della nazionale elvetica e da quest’anno
dell’Atalanta Mozzanica.
Quando hai iniziato a giocare a calcio?
"Ho
iniziato sin da piccola, giocavo con i miei compagni di scuola durante
la ricreazione. Poi quando avevo otto anni, mio padre riprese ad
allenare una squadra maschile di ragazzini vicino a casa e andai con
lui, giocando con i maschi per cinque anni. A quattordici per continuare
a giocare andai in una squadra femminile, sempre della nostra zona."
La tua storia con il pallone inizia in una Svizzera che in pochi anni è diventata una potenza del calcio.
"In
realtà in quel periodo il calcio femminile era già ad una buona fase di
sviluppo nella Svizzera tedesca, io invece abitavo in quella francese e
così vicino a casa c'erano poche squadre e di basso livello. Quando ho
iniziato a giocare con le ragazze, come puoi immaginare, non è che mi
divertissi tanto, però nel frattempo praticavo anche il tennis e quello
mi è stato di grande aiuto per sviluppare i cambi di posizione e la
velocità nel breve. Di quella squadra mi sono però rimasti i valori
affettivi, tante delle mie compagne di allora sono ancora oggi tra le
mie più grandi amiche. Due anni dopo sono andata a giocare in serie B
svizzera e l'anno successivo a 17 anni in serie A, nel Thun."
Sei nata tra i pali, o hai giocato anche il altri ruoli all'inizio?
"Non
ho cominciato in porta, ma ci sono andata quasi subito, quando ancora
giocavo tra i maschietti. All'inizio giocavo in attacco, poi un giorno
avviene che il nostro portiere è costretto a ritirarsi e mio papà non
sapeva chi mettere in porta. Io gli ho chiesto di provare e lui mi ha
guardato allibito… in effetti in famiglia nessuno ha mai giocato in quel
ruolo e oltretutto ero l’unica femmina in squadra. Ma provando anche a
casa si accorse che come portiere me la cavavo bene e così da lì ho
iniziato a giocare tra i pali."
Come
molte giocatrici di valore della tua nazione hai avuto importati
esperienze all'estero. Quando hai lasciato casa per la prima volta?
"Dopo
qualche stagione in Svizzera ho ricevuto un'offerta da parte del
Potsdam in Germania e quindi a 21 andai là a giocare, proprio nel
momento in cui Nadine Angerer lasciava per andare al Djurgarden. Arrivai
a gennaio per disputare in pratica mezza stagione, mentre in quella
successiva vincemmo il campionato. Giocai però solo qualche partita,
perché il portiere titolare era un altro e l'anno successivo andai
all'Amburgo per avere più chance di scendere in campo, ma purtroppo
subii un infortunio e dovetti tornare in Svizzera per avere la
possibilità di giocare e recuperare. Tornai quindi in Germania la
stagione successiva e in seguito andai alla Torres."
Arrivi quindi in Italia, nella squadra più titolata di allora, nella quale hai contribuito a vincere l'ultimo scudetto sardo.
"Arrivai
alla Torres nel 2012 dove vincemmo subito la supercoppa e lo scudetto
al termine della stagione. L'anno successivo bissammo la supercoppa, ma
in campionato invece arrivammo seconde ad un passo dal Brescia.
Purtroppo la società stava già andando a rotoli e così l'anno dopo
tornai in Germania al Duisburg dove però mi ruppi il crociato a sei mesi
dal mondiale in Canada. Riuscii però a recuperare in tempo e a
disputare il mondiale. Con il Duisburg retrocesso, tornai in Svizzera al
Basilea, ma per pochi mesi perché a gennaio ritornai in Italia, per
giocare con la Fiorentina. Quindi l'ultima stagione disputata a Verona
ed infine eccomi qui."
Domanda
infame: tante tue connazionali furoreggiano in giro per l'Europa nei
campionati maggiori, perché la n. 1 della nazionale svizzera ha scelto
invece di restare in Italia?
"Beh
io in Germania ho giocato prima di altre e ti dirò che prima di andare
alla Torres ero quasi intenzionata a smettere, perché di quel calcio ho
visto sia gli aspetti buoni, sia quelli cattivi. La chiamata della
Torres è arrivata proprio nel momento in cui avevo bisogno di cambiare
ambiente e confrontarmi con un'altra mentalità. Ho trovato una squadra
comunque fortissima, abituata a giocare per vincere e mi sono trovata
bene anche a livello personale. Ho conosciuto un nuovo metodo di lavoro
sui portieri e posso dire di essere cresciuta grazie a questo. Anche
l'allenatrice della nostra nazionale, pur molto scettica sul campionato
italiano, ha ammesso di avermi trovato migliorata da quando gioco in
Italia. L'ambiente che ho trovato in Italia mi ha fatto molto bene anche
nella vita privata e per questo, quando si è presentata la possibilità
di tornare qui non ci ho pensato molto, nonostante i dubbi sollevati
anche da mia mamma, che tra l'altro è italiana..."
Il
fatto che continui a godere della piena fiducia del tuo CT è la prova
che stai lavorando bene. Che allenatrice è Martina Voss-Tecklenburg?
"E'
un'allenatrice molto brava e preparata. Prepara con largo anticipo il
lavoro che vuole svolgere con le ragazze in campo, con esercitazioni
sempre in funzione di quello che andremo poi ad affrontare in partita.
Ha il pregio di essere una persona sempre aperta al confronto con le sue
giocatrici. Chiede spesso alle più anziane di condividere con lei le
idee sul lavoro, anche se poi comunque è lei a decidere. E' una donna di
grande autorità, molto decisa, che sa come e dove vuol arrivare. Noi
siamo state sempre la “piccola Svizzera”, con quel complesso di non
poter competere con le grandi, ma lei ci ha dato una mentalità nuova,
vincente. Non conta quanto sei grande o piccola, abbiamo delle grandi
giocatrici e quindi perché nasconderci? Ci ha portato quella voglia di
vincere sempre con tutti. La crescita del nostro gruppo si vede ed è
gran parte merito suo."
Quando hai esordito con la nazionale?
"Il
17 giugno 2006 in un'amichevole contro la Svezia. Non posso dimenticare
quella data perché è anche il compleanno di mia madre."
Da
due anni circa in Italia sono nate le affiliazioni con le squadre
maschili, mentre in Svizzera e Germania questo avviene da tempo. Qual'è
il tuo parere su questo percorso?
"Io
penso che sia una svolta positiva, che deve essere vista soprattutto
come investimento a lungo termine. Detto questo chi ha investito tanto,
anche nel breve sta già raccogliendone i frutti. Poter vivere di calcio,
lavorando con strutture all'avanguardia, è sicuramente diverso dal
venire ad allenarti dopo una giornata di lavoro. Le grandi squadre
attirano anche le giocatrici di valore dall'estero e questo aumenta
concorrenza e il livello generale del campionato, che però deve passare
anche dalla riforma del torneo. In Italia c'è un numero bassissimo di
tesserate rispetto ai paesi più sviluppati nel calcio femminile, ma
nonostante questo fino ad oggi c'è stata una serie B con 50 squadre
circa. E' chiaro che così il salto tra la B e la A rimane troppo ampio,
in questo senso sono d'accordo sulla serie B a girone unico. Certo, le
distanze tra nord e sud qui in Italia porterebbero costi maggiori per
queste squadre e qui la Federazione dovrebbe intervenire con qualche
tipo di aiuto economico."
Qual'è la partita per te indimenticabile?
"Beh…
in realtà ce ne sono parecchie e per diversi motivi. La prima che mi
viene in mente è quella contro l'Islanda agli europei giocati
quest'estate dove mi sono spaccata la testa. Mi è rimasto il segno di
quella partita che probabilmente porterò sempre con me… A livello di
squadra una partita che non dimenticherò mai è quella che disputammo con
la Torres in champions contro il Rossiyanka. Da loro all'andata avevamo
perso uno a zero per un autogoal, ma al ritorno ribaltammo il risultato
con una gara di gran cuore e carattere. All'ultimo minuto Domenichetti
con un intervento sulla riga scongiurò la rete che avrebbe dato la
qualificazione a loro. Poi la partita sempre con la Torres a Brescia,
dove vincemmo e conquistammo in pratica lo scudetto. Con la nazionale mi
vengono in mente le gare giocate contro gli Stati Uniti o quelle del
mondiale in Canada, a partire da quella d'esordio con le campionesse del
mondo in carica del Giappone, per finire con quella valida per gli
ottavi di finale, disputata davanti a 55.000 persone!"
Hai un idolo?
"Mi
sento un po' adulta per parlare di idoli, ma sicuramente uno a cui
guardo come esempio è Gigi Buffon, il più grande in assoluto. Anche Yann
Sommer però, il portiere della Svizzera e del Borussia Monchengladbach,
mi piace molto. Tanti lo criticano per la statura, dicono che è troppo
basso, ma di sicuro compensa tutto alla grande con una forza esplosiva
enorme, con i piedi è perfetto e ha un'ottima lettura del gioco."
Oggi sei qui a Mozzanica, dove può arrivare secondo te questa Atalanta?
"E'
una buonissima squadra, troppo complessata a mio giudizio. Giochiamo
con le grandi pensando di essere piccole. Non dobbiamo nasconderci e
dobbiamo invece tirar fuori gli attributi. Molti ci sottovalutano perché
ci chiamiamo Mozzanica, mentre abbiamo giocatrici molto forti e
dobbiamo toglierci dalla testa di essere inferiori alle altre, giocare
sempre per vincere e avere più consapevolezza dei nostri mezzi. Se credi
di più in te stessa tante cose diventano possibili."
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